mercoledì 18 gennaio 2012

L’arte nel lavoro di gruppo



Esiste una letteratura molto ricca sia sulla natura dei gruppi, sul modo in cui le persone si comportano al loro interno e sui motivi alla base di tali comportamenti, sia sugli approcci all’attività “terapeutica”, di riabilitazione ed educativa di gruppo.
Quasi sempre,nell’ambito della vita di gruppo vi sono aspetti di relazione e di comunicazione che si verificano a vari livelli e attraverso diversi canali:
·         All’interno dell’individuo

  •     Tra i membri
  •     Tra l’agevolatore del gruppo e l’individuo
  •     Tra l’agevolatore del gruppo e l’intero gruppo

La comunicazione e le relazioni possono essere verbali o non verbali e possono includere il linguaggio del corpo.

L’importanza dell’attività artistica in gruppo sta nel fatto che un oggetto o più oggetti vengono creati all’interno della vita del gruppo. Il modo in cui il lavoro viene svolto, il suo contenuto (palese o ignoto), il modo in cui esso viene recepito e usato influiscono su tutti i livelli di relazione e di comunicazione elencati sopra e a loro volta ne sono influenzati.
L’opera concreta e visibile che viene prodotta può essere vista e, di conseguenza, focalizzata; l’attenzione del gruppo direttamente stimolata dalle immagini si concentra su argomenti e questioni specifici.

L’attribuzione di una forma ad aspetti della nostra vita interiore e ai modi in cui noi interpretiamo il mondo consente una più rapida auto apertura ed auto esplorazione. Capita inoltre molto spesso che in breve tempo si venga a creare un forte senso di identità di gruppo.
L’oggetto creato può essere conservato e ripreso in un secondo momento, e si possono così fissare, in modo costante, gli sviluppi del singolo individuo e del gruppo. Il grado e il modo in cui vengono trattati gli aspetti delle dinamiche di gruppo dipendono poi sia dall’obiettivo perseguito dal gruppo sia dalla formazione e dallo stile adottati da chi lo gestisce.

“Non sono mai stato portato per le materie artistiche” o “sono assolutamente negato per il disegno” sono frasi che si sentono molto spesso da persone alle quali viene proposta l’idea di fare un lavoro artistico. Con queste affermazioni si comunica il fatto che, per molti, l’unica esperienza personale di creazioni artistica risale ai tempi della scuola e che quell’esperienza è stata, nella maggior parte dei casi, imbarazzante, umiliante o semplicemente noiosa.

E’ quindi necessario che l’operatore di un gruppo comprenda la paura  di “prestazione” degli utenti e cerchi di mettere le persone a proprio agio incoraggiandole a esprimere le proprie abilità creative naturali.
Questo processo può essere visto come una concessione del permesso. Quando le persone hanno la sensazione che le loro preoccupazioni riguardo all’attività artistica siano state ascoltate e che il modo di lavorare proposto sia accessibile, generalmente si assumono il rischio di provare a vedere che cosa succede.

Indipendentemente dall’attività, i gruppi possono mettere in evidenza i lati migliori e peggiori di coloro che vi fanno parte. Per i gruppi basati sull’Arteterapia sono di particolare importanza i fenomeni di transfert, controtransfert, identificazione e proiezione. A differenza di altri gruppi, basati invece sulla parola, tuttavia, l’immagine stessa, le tecniche della creazione artistica, l’atteggiamento delle persone verso il prodotto finito e il processo di creazione in sé aiutano a comprendere bene le varie dinamiche che si manifestano.

Creare “un’opera artistica” può essere spesso un’attività imbarazzante. Infatti, gli adulti possono produrre immagini infantili dal punto di vista della raffigurazione, e, per quanto l’elemento di gioco implicito permetta la regressione, è facile che essi si sentano insicuri nello svolgere un’attività che hanno abbandonato da bambini. Tutti questi fattori possono contribuire ad alimentare i rapporti di transfert e altri sentimenti proiettati all’interno del gruppo, sia positivi che negativi, ecco quindi che l’opera dell’agevolatore è di fondamentale importanza, è lui a guidare la danza e starà a lui con delicatezza, empatia, non giudizio, accogliere i vari vissuti e i bisogni che di volta in volta emergono.

La particolarità del lavoro in gruppo risiede nel fatto che le creazioni artistiche prodotte da ciascun componente evidenziano sia l’unicità che le differenze personali che si sono create all’interno del gruppo. Le emozioni e le esperienze personali di un individuo possono, inoltre innescare un processo di crescita e di cambiamento anche in un altro individuo.

L’interazione permette poi di sperimentare anche significative esperienze di apprendimento interpersonale: l’attenzione è rivolta ai processi che avvengono nel “qui e ora” e, attraverso l’autosservazione ed il feedback proveniente dagli altri, ciascun membro arriva a rendersi conto della natura del proprio comportamento e dell’impatto sull’esterno. Questa consapevolezza può produrre cambiamenti importanti nel comportamento, anche al di fuori del contesto “gruppale”, cambiamenti che favoriscono lo stabilirsi di relazioni interpersonali più soddisfacenti ed in grado di valorizzare l’autostima della persona.

Nei percorsi di gruppo una componente essenziale per un buon funzionamento è lo sviluppo, spesso lento e graduale, della fiducia reciproca, per una maggiore coesione e cooperazione. I membri arrivano a conoscersi in un modo nuovo, spesso la condivisione di esperienze artistiche di buon valore espressivo porta a riconoscere lo stile, i simboli immaginativi ed i temi emotivi degli altri individui.

Il Gruppo diventa così lo specchio del nostro sentire interiore divenendo un valido supporto per metabolizzare ed elaborare l’esperienza che si sta vivendo.

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con contributi tratti da:

J.Campbell
Attività artistiche in gruppo
Ed.Erickson

E.Giusti - I.Piombo
Arteterapie e Counseling Espressivo
Ed.Sovera

lunedì 16 gennaio 2012

Arte e "follia"



L'arte è invenzione, creatività, rottura degli schemi. La follia è ripetizione, fissazione, terrore di vivere, a volte violenza.Arte e follia non sono una coppia, possono qualche volta farsi compagnia ma non c'è un rapporto preferenziale fra loro. L'arte è un evento spesso piacevole e interessante mentre la follia è una condizione di vita difficile e dolorosa.
In questo contesto do al termine "Follia" uno statuto clinico, la definisco come patologia nella quale l'individuo è imprigionato dal suo stesso modo di pensare e di agire. Tutti gli individui che hanno una forte immaginazione e lavorano molto con la fantasia possono effettivamente creare opere nell'ampio contenitore delle arti, la storia delle arti visive e letterarie conosce parecchie persone che hanno raggiunto una grandezza e un riconoscimento, magari postumo, universale. Sono individui che riescono in qualche modo ad organizzare la loro dimensione immaginativa, le loro proiezioni deliranti e a costruire un'opera che pacifica, rappresentando la loro follia rendendola più tollerabile. 

L'arteterapia è un'esperienza che pone al centro della sua pratica il fenomeno espressivo. Le emozioni e gli affetti vengono veicolati sulla tela attraverso l'azione delle nostre mani e tali azioni oltre a liberare e a diminuire i nostri grovigli emotivi interiori promuovono un vero e proprio discorso simbolico in cui noi ci rappresentiamo. Questa è' una tecnica molto utile e funzionale nella cura delle psicosi e dei disturbi di personalità dell'età adulta.
Quando si parla di arte terapia in psichiatria si parla di una disciplina interna all'area di cura riabilitativa. Riabilitazione nel significato di “rianimazione” ossia ricominciare a pensare, fare circolare nuovamente dei pensieri per ricostituire un'anima.



L’arteterapia, esattamente come l'arte rende visibile ciò che non lo è, rende visibile quel che non è visibile e dà forma a quel contenuto interno, nella sua dimensione emotiva e affettiva.
Qual'è la dimensione di un contenuto affettivo ed emotivo? Può essere corporea, somatica, sono emozionato e sudo oppure ho le palpitazioni. C’è un effetto somatico che riguarda il corpo che non dice nulla però dell'emozione che provo. Sudo, ho il cuore che scoppia, a quale emozione si riferisce? Paura, gioia, dolore, rabbia, amore, etc. Bisogna provare a dare un nome, a nominare e a definire le emozioni che il mio corpo rappresenta cosi bene.
Nella misura in cui indico con la parola qualcosa che percepisco, definisco una connotazione che è per certi aspetti è un fermo immagine. Il fermo immagine è una dimensione di forma simbolica, è una simbolizzazione.
Nelle psicosi gravi come possono esserlo le schizofrenie, le rappresentazioni pittoriche, scultoree, grafiche non sono delle rappresentazioni di qualcosa come invece possono esserlo per noi.
Per il soggetto schizofrenico che configura visivamente questa cosa, la cosa non è una rappresentazione di se stesso ma è lui stesso. In questo essere la cosa che fa' sul foglio riesce a visualizzare per la prima volta se stesso come in una sorta di specchio. L'altra fondamentale caratteristica della forma visiva è che oltre a vederla posso toccarla con le mie mani perché è una forma tangibile che ha uno spazio fisico sul foglio.



È una forma in cui il “paziente” per la prima volta riesce a vedere qualcosa di se stesso perché comincia a esserci una minima relazione con l'arteterapeuta, che è accanto a lui.
Il “paziente” può così cominciare ad amare qualcosa che vede estraneo ed esterno a lui attraverso l’apprezzamento e la considerazione dell’arteterapeuta che riconosce, considera, apprezza e tocca la forma dell'oggetto raffigurato.
Ciò che avviene è la stessa cosa che accade a un bambino piccolo che vede qualcosa all’esterno della propria forma corporea e comincia a visualizzare e a toccare, realizzandolo come oggetto solo se qualcun altro lo riconosce come tale, amandolo e apprezzandolo o al limite anche rifiutandolo. Diventa un oggetto buono o cattivo, bello o brutto, amichevole o nemico, a seconda che l'altro lo indichi favorevolmente o meno. Lui ascolta, sente se c’è un legame di fiducia con l’altro, a poco a poco inizia il processo esperienziale di incontrare un altro e attraverso l'altro comincia ad avere qualche considerazione di se stesso.
Questo è il lento processo che avviene in un lavoro di arteterapia con la schizofrenia.
Essere schizofrenici vuol dire non esserci, non esserci su un piano della comunicazione verbale, vuol dire non avere una propria definizione del proprio corpo. Il proprio corpo può essere vissuto in una dimensione persecutoria. Ci possono essere rappresentazioni immaginifiche dello stomaco o delle parti del corpo che parlano che non vengono concepite più come organi interni ma come delle forme estranee alla persona.
Altri tratti della schizofrenia sono le allucinazioni visive e uditive, una chiusura sempre più ermetica della persona e un comportamento ripetitivo come fumare 100 sigarette al giorno e ingurgitare caffè con modalità compulsive.
La follia è una grande normalità delirante, la follia è fissazione, coazione, disperazione silenziosa e chiassosa.
Quando abbiamo a che fare con la disintegrazione, abbiamo a che fare con una persona che non si considera persona perché non si percepisce come tale, il fatto di disegnare e di rappresentare una forma sulla tela significa che io riesco a sentirmi io e a avere una minima percezione di me mediante la forma che ho rappresentato sulla tela e se questa forma viene riconosciuta, 'amata', posso reintegrarla come amore di me. Posso cominciare a volermi bene attraverso questa forma. Molto semplicemente è la costruzione di quel fondo originario che è il nucleo narcisistico primario che un individuo dovrebbe 'avere con sé' fin dalla  sua nascita. Questo nucleo narcisistico è un'eredità biologica, organica, e culturale,psichica,  della famiglia di appartenenza, madri, padri, nonni, etc. concorrono a costruire quello spazio di accoglienza e di vita che è il principale nutrimento per dare esistenza alla persona...non si vive di solo pane ma anche di qualcosa d'altro, nonostante il nutrimento biologico sia fondamentale. Posso finalmente sentirmi 'cosa buona' e quindi in prospettiva cominciare a volermi bene, a difendermi per proteggermi, a vivere.
Nella psicosi questo  nucleo narcisistico è bucherellato o molto raffazzonato. Il canale visivo è dunque in questi casi fondamentale perché ha una maggiore capacità di comunicazione rispetto a quello verbale in quanto costruisce forme  che possono dare avvio a un processo di simbolizzazione nella persona.
Si fa arte quando ci si libera da stessi e dalla propria condizione di sapere quel che siamo. L’arte è una grande elaborazione della nostra vita interiore.

 “ Ciò che a mio avviso l'uomo vuole di generazione in generazione  è reinventare  i modi nei quali l'apparenza può essere prodotta e riportata sul suo sistema nervoso più violentemente, più immediatamente di quanto sia stato fatto in precedenza perché ciò è già diventato una soluzione assorbita. Così ogni generazione deve reinventare l'apparenza”. F.Bacon



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Liberamente tratto da:




venerdì 30 dicembre 2011

Voglio augurarti .....

Quello che voglio augurare a chi passerà di quì  è un’infinità di cassetti da riempire e svuotare continuamente, piccoli scrigni senza ante dove il mondo possa sostare solo un po’, affinchè ci appaghi, ma che poi sfugga via, più bello, perché intriso di noi, verso altri, affinchè la conoscenza, la cultura, la creatività, la passione, la gioia di fare le cose che amiamo, si diffondano come polline odoroso capace di rendere fertili altre menti ....



sabato 17 dicembre 2011

L'arte è Vita!



Neera Hashimoto - Flower of love -

L’arte è il profondo desiderio dell’individuo di collegarsi a tutta l’esistenza; di connettersi e di esprimere la vita stessa. Migliaia di anni fa, nelle grotte di Altamira in Spagna, molto prima che nascessero le prime scuole d’arte, antiche tribù di cacciatori dipinsero bisonti e altri animali con grande sensibilità e accuratezza. La loro arte non era il risultato di una tecnica appresa con impegno. Era una semplice preghiera dell'espressione umana.

Nella società contemporanea, l'arte viene trattata sempre più come un'entità separata, una cosa riservata agli specialisti, come qualsiasi altra professione. È un peccato perché dipingere non è soltanto un diritto di tutti; è anche uno dei più grandi strumenti per risvegliare la propria consapevolezza.

L'espressione creativa non è altro che la nostra energia vitale, è come sangue invisibile che scorre nel nostro corpo. L'intelligenza per creare è nascosta in noi e può uscire fluendo come una sorgente che sgorga dalla cima di di una montagna; è senza fine, abbondante e deliziosa.

La pittura può essere uno specchio che ci permette di guardare profondamente dentro noi stessi.
Quando dipingiamo con consapevolezza, chiunque noi siamo, qualunque cosa sentiamo in quel momento, troverà espressione sul foglio e vi resterà impresso mostrandoci a noi stessi.

È necessario solo rimanere aperti e osservare. In questo modo attraverso la consapevolezza di ogni istante, è possibile una rivoluzione della consapevolezza, perché la mente non ha spazio per tornare alle vecchie abitudini di commentare, giudicare, criticare o dare istruzioni.

Vivere ogni momento vuol dire dare spazio all'intuizione e alla spontaneità . Una volta che si impara questo segreto, dipingere è pura gioia e divertimento e offre la chiave per aprire tutte le porte e le finestre della nostra intelligenza creativa.


Liberamente tratto da:
Meera Hashimoto
Il risveglio dell’arte
Ed.Urra

domenica 27 novembre 2011

Un Collage per "guarire" ....



Gabriella Costa - "il senso di un viaggio" 

Dopo un lutto, una separazione o quando si devono affrontare scelte difficili: sono tante le situazioni nelle quali si sente il bisogno di “rimettere insieme i pezzi” della propria vita o di “ricomporre i cocci” dopo esperienze laceranti. Per farlo, c’è una tecnica che, proprio perché rappresenta una metafora di questo percorso, può aiutare a fare il “patchwork” giusto di interessi, emozioni, valori. Questa tecnica si definisce Psico-collage ed impararla è davvero facile. Ecco come fare.

Una tecnica dell’arteterapia
Matite o tempere, creta e collage: tutte le varie tecniche artistiche possono costituire degli efficaci strumenti terapeutici e di crescita personale. L'arteterapia, infatti, può essere definita un intervento di aiuto che utilizza i materiali artistici e il processo creativo come sostituzione o integrazione della comunicazione verbale essa si fonda sul concetto che il “fare” (in questo caso fare-arte) produce ben-essere, aumenta l’autostima facendo sentire la persona come un individuo in grado di “fare” migliorando così la qualità della vita. Inoltre attraverso l’arteterapia si ha la possibilità di attivare quelle risorse che tutti possediamo ma che spesso dimentichiamo di avere attuando attraverso il processo creativo la capacità di dare una forma al proprio vissuto trasmettendolo creativamente agli altri.  L’arte possiede il grande pregio di esprimere e rendere visibile quello che è difficile comunicare a parole, essa diventa così un mezzo di comprensione e attribuzione di senso dei propri vissuti. Infatti mentre le parole implicando la concettualizzazione del disagio possono mentire, nascondere o dimenticare ; le immagini non mentono, sono immediate prendono forma dal profondo di noi stessi by-passando tutte le difese.

Come si pratica.
Perché l’arteterapia sia davvero efficace, però, questa non deve essere improvvisata, ma, almeno all’inizio, è necessaria la guida di un esperto. Nel suo studio, l'arteterapista prepara i materiali e l'ambiente in modo da creare un clima di rilassamento e tranquillità per un paziente o anche per un gruppo che parteciperà alla seduta.

Lo scopo.
Attraverso l’espressione artistica, la persona esprime contenuti personali che possono essere ricordi, sensazioni, emozioni ed attua un riconoscimento di sé e della propria presenza in grado di lasciare una traccia. Inoltre, nel momento in cui le sensazioni si traducono nell'oggetto artistico, avviene un processo di autocomprensione più profonda. Questo accade perché il riuscire a raffigurare immagini, sentimenti ed emozioni, dando ad essi una forma visiva concreta, permette di poterli osservare come qualcosa di staccato da sé, mettendo in atto quella “distanza emotiva” necessaria alla loro esplorazione.  Ecco allora che anche nelle immagini più cariche di sofferenza e di angoscia (ad esempio il ritratto di una persona cara che non c’è più) si crea uno spazio di comprensione ed elaborazione.

 Cos’è lo “psico-collage”
Lo psico-collage, quindi, non è altro che una forma di arteterapia che si avvale dell’uso di questa tecnica artistica. Ecco in cosa consiste.

Cos’è il collage.
Come tecnica artistica, il collage appare per la prima volta agli inizi del ventesimo secolo, con gli artisti del novecento. La parola "collage" viene dal francese e significa letteralmente "incollare", così oggi si definisce con questo termine, qualsiasi manufatto realizzato incollando sulla superficie uno strato, ovvero un’opera ottenuta attaccando insieme elementi, anche diversi, come carta di giornale, carta da parati, illustrazioni, stoffa su una superficie piatta. Per quanto riguarda il suo uso in arteterapia, questa tecnica è una delle più semplici, proprio perché si avvale del solo uso di carta, forbici e colla e non prevede una particolare predisposizione alla manualità. Non a caso è uno dei primi procedimenti artistici che vengono insegnati ai bambini nelle scuole.

La versione “psicologica”.
Il collage psicologico è caratterizzato dal fatto che, pur restando invariata la tecnica, sono i “ritagli” o inserti scelti ed il loro modo di combinarli ad avere un valore speciale, proprio perché si tratta di “immagini” che ci riguardano da vicino, che in qualche modo parlano di noi. Il foglio bianco diventa lo schermo su cui proiettare i nostri fantasmi, le nostre paure, i nostri ricordi, una sorta di filo d’Arianna che ci conduce attraverso il labirinto del nostro inconscio fino al centro di noi stessi. Esso ci permette di mettere in scena la nostra fiaba interiore accedendo al nostro immaginario lasciando tuttavia intatte le nostre difese. Infatti in arteterapia il Collage è una grossa maschera che rispetta molto le difese di chi lo fa : attraverso una immagine ci si può nascondere e permettere che essa parli in nostra vece.
In più è un ottimo mezzo per abbassare il critico interiore, colui che mina continuamente la fiducia in noi stessi non necessitando di alcuna particolare competenza artistica.
Inoltre dal punto di vista strettamente psicologico attraverso le varie fasi: la scelta dell’immagine, la de-struttrazione (taglio o strappo della figura) e la ri-configurazione dello scenario (che fino all’incollaggio può essere riposizionato all’infinito), permette di sperimentare , ri-creare e ri-organizzare nuove e diverse ambientazioni come possibili metafore di situazione di vita.

Come fare un collage "psicologico".

Anche la tecnica del psico-collage dovrebbe essere appresa da un primo incontro con un terapeuta che possa aiutare ad esplorare il risultato finale, ma, una volta apprese le chiavi di lettura dei propri lavori, questa tecnica si può applicare anche a casa. Ecco come.

Creare l’ambiente giusto.
Bisogna prepararsi al momento di psicocollage con cura, scegliendo un’ora della giornata o della settimana in cui ci si senta liberi e non si vada di fretta. E’ importante anche scegliere un angolo della casa consono, di solito riservato, luminoso e dove poter raccogliere anche una buona mole di materiale (riviste, cataloghi, poster…).

Scegliere i ritagli.
E’ questa la fase più importante: cercare di capire quali immagini descrivono meglio lo stato d’animo che vorremmo rappresentare, sia esso di gioia, tristezza, inquietudine oppure, e questa è la cosa che di solito invito i miei clienti a fare,  farsi catturare dall’immagine senza riflettere molto cercando così di far lavorare la parte destra del cervello quella più legata all’inconscio .  Questa ricerca si può fare utilizzando riviste o cataloghi ma anche la rete può aiutare. Allora, se riusciamo a dare un nome alle immagini che “desideriamo”, possiamo tranquillamente cercare su internet, scegliendo e stampando quelle che, d’istinto, rappresentano bene sentimenti e sensazioni del momento che vorremmo esprimere. In altre situazioni, quando cioè, si vivono stati di malinconia, rimpianto o si fa fatica ad elaborare una perdita, possono essere utili materiali personali come foto, vecchi biglietti, pagine di diario.

Fare il collage.
Una volta raccolto tutto il materiale, si può passare alla fase di assemblaggio vera e propria. E’ sufficiente scegliere un supporto ed iniziare a sistemare le varie immagini prendendosi tempo per cambiare o spostare i vari accostamenti solo quando si è soddisfatti e si sente di aver finito l’opera si può incollare  ed in seguito è molto importante dare un nome al proprio lavoro in modo da riportare a livello di coscienza quello che si è fatto di istinto ad incollare, creando gli accostamenti in base all’istinto e senza pensare al fatto di dover ottenere un’opera artistica.

Guardare se stessi attraverso il collage.
Una volta terminato il lavoro, si può passare alla terza fase, la più delicata che consiste nell’esplorazione del risultato ottenuto; soffermandosi sulle risonanze che le varie immagini evocano in noi (cosa mi dice quella foto? Cosa mi ricorda?) oppure sugli accostamenti tra i vari elementi immaginando, magari, un ipotetico dialogo tra di loro In sintesi: in questa fase è giusto guardare l’opera come un film o un fotoromanzo: con la massima sincerità possibile e cercando di dare attraverso il collage un senso allo stato d’animo di partenza cercando di dare un nome all’emozione che sale in figura dallo sfondo .

Ripetere il procedimento.
L’obiettivo dello "psico-collage" è quello di fare chiarezza dentro di sè, portando fuori emozioni e sentimenti e permettendo così, di vivere questi stati d’animo come spettatori e non come attori. Questo è fondamentale per l’elaborazione degli stessi. Però, per andare davvero in profondità dentro se stessi, non ci si può fermare ad un solo esercizio. Quindi, è importante che lo psicocollage diventi un’abitudine, un appuntamento con se stessi e con la propria interiorità.
Il Collage è una tecnica assolutamente adatta a tutti : 
  • per gli anziani può essere un modo per legare con un immaginario filo i ricordi sollecitati da immagini  oppure da vecchie fotografie 
  • per i disabili è una maniera  per innalzare la loro autostima creando qualcosa di artisticamente valido 
  • per i bambini il tagliare e incollare è uno dei primi  “giochi” che li fa sentire artisti in erba 
  • per gli adulti con la sindrome del “non so fare nulla” è un approccio che cambia completamente la loro prospettiva del “saper fare”
Per concludere possiamo dire che gli scopi principali di uno “psico-collage” sono:
  •    Favorire la comunicazione delle proprie emozioni 
  •          Promuovere l’autoconsapevolezza e l’accettazione di sé 
  •          Sviluppare la propria identità creativa ed immaginativa 
  •          Innalzare l’autostima tramite l'atto creativo

(Servizio di Manuela Longo con la consulenza tecnica di Gabriella Costa apparso su SANI E BELLI nr. 43)  

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giovedì 24 novembre 2011

Il permesso di essere creativi



Sabry-Art  -  "Albero della vita" - murales

Il verbo italiano creare, al quale il sostantivo creatività rimanda, deriva dal creare latino, che condivide con "crescere" la radice KAR. In sanscrito, KAR-TR è colui che fa (dal niente), il creatore.

Creare significa propriamente produrre qualcosa  che appaia ai più come nuova ed originale. Possiamo anche dire che la creatività è un particolare processo attivato dall’uomo nel suo relazionarsi con il mondo esterno allo scopo di dare ad esso un significato personale che si rifà alla sua realtà interiore. Sono i nostri desideri e i nostri bisogni che ci spingono ad agire creativamente. Se non avessimo desideri, sogni e sentimenti non ci sarebbe la tensione emozionale e cognitiva necessaria per dare il via ad un processo creativo capace, potenzialmente, di modificare la realtà con i suoi effetti.

D’altra parte è la realtà che ci fornisce i mezzi e gli strumenti necessari all’azione creativa: nulla si crea dal nulla ed ogni atto creativo, così come ogni nuova idea scaturisce dall’esistente. La creatività non è un atto magico che dal nulla fa nascere qualcosa, ma è una sorta di ricombinazione delle strutture e delle informazioni che abbiamo a disposizione per dar voce ad un bisogno consapevole od inconsapevole, primario o meno che cerca soddisfazione nella realtà.

La creatività nella sua forma più profonda è una celebrazione della vita, della nostra vita, un’autoaffermazione energica del nostro essere al mondo : SONO QUI! POSSO ESSERE QUALSIASI COSA! POSSO FARE QUALSIASI COSA!
In questo senso diventa quindi anche un atto di coraggio: è la rottura dei confini per crearne di nuovi ascoltando quel bisogno che dentro urge di essere affermato, rischiando anche il fallimento o il ridicolo in nome del cambiamento.

Infatti il “sine qua non” del processo creativo è il cambiamento, la trasformazione di una forma in un ‘altra, di un simbolo in una intuizione che attraverso metamorfosi diventa “qualcosa d’altro”.

La creatività è l’affermazione della vita che si muove oltre se stesa. Una vita scarsamente esposta al mondo e alle possibili esperienze ha poche probabilità di essere creativa. “La creatività è impaziente di fronte al ristagno dell’esperienza; non può fiorire in un ammasso di polvere” (J. Zinker).

L’atto della creazione è un bisogno fondamentale, come respirare , è il bisogno di lasciare una traccia ; dobbiamo correre il rischio e darci il permesso di proiettare le immagini più personali sugli oggetti, sulle parole o su altri simboli tras-formandoli in qualcosa di nuovo. Ogni uomo è pieno di proiezioni e nello stesso tempo ha paura di esprimerle del tutto. Comporre musica, fare un quadro, una scultura o semplicemente creare un cambiamento nella propria vita è come correre il pericolo di lasciare andare il proprio cuore, la propria anima nel mondo avendo paura che nessuno voglia fruirne.

Rimanere eterni incompresi blocca l’azione, ci fa restare in balia degli eventi non più “creatori” della propria vita bensì burattini in mano al “destino” indiscusso regista della nostra esistenza.

Come dice Maslow “la creatività autorealizzante viene emessa come radioattività e irradia tutta la vita... è come la luce del sole; si diffonde dappertutto ...” e alla luce non ci si può opporre.....


"Alla fine tutti siamo portati a scegliere tra la dipendenza e la creatività"Linda Leonard Schierse


venerdì 18 novembre 2011

Diario Visivo delle emozioni ...


www.flickr.com  io-corallo "Obliterazioni"


Il Diario clinico è uno strumento molto usato sia in campo terapeutico sia nel counseling; esso è un registro giornaliero su cui far annotare cronologicamente al cliente tutto ciò che lo riguarda sia come avvenimenti, sia soprattutto le confessioni, i sentimenti e le emozioni più profonde.
Da questo punto di vista il diario presenta dei notevoli vantaggi autoriparativi: lo scrivere, infatti, ha la capacità di favorire l’esplorazione di sé permettendo con gradualità di entrare nel mondo delle proprie emozioni in modo da dare un nome a quello che si prova consapevolizzandolo.
Inoltre esso può essere un posto sicuro, nascosto agli altri, in cui dar voce a tutte le sofferenze e i dispiaceri senza paura di essere giudicati, un momento dove ci si può auto consolare e auto sostenere.
Chi scrive il diario cerca di familiarizzare con i moti contraddittori del suo essere collocandosi su un piano altro da cui scoprire che la contraddizione non lo spacca più in due ma è parte di sé. Impara così che il lato attivo ed il lato passivo, il lato oggettuale e quello soggettivo, il lato bisognoso e quello potente gli appartengono.
Come ho già scritto in precedenti post qui e qui  l’arteterapia e il counseling espressivo puntano sulla comunicazione delle emozioni e dei sentimenti in forma visiva.
In una seduta tipica si chiede al cliente di esprimere attraverso un prodotto artistico ciò che prova nei confronti di sé e degli altri. Le emozioni sono una fonte importante di immagini e rappresentano un punto di partenza significativo per l’esplorazione di sé.
Usare l’arte è un modo per by-passare le resistenze che la nostra mente innalza per paura di toccare punti dolenti; a volte può bastare l’atto stesso di prendere la matita e tracciare linee sulla carta per cominciare a rilassarsi lasciando che emozioni e sentimenti affiorino in superficie per poi inquadrarli in un contesto.
Da qui l’invito che spesso rivolgo ai miei clienti di tenere un diario in cui la parola scritta viene sostituita da una narrazione visiva. Disegni, schizzi, scarabocchi, collage per individuare sentimenti nascosti o non riconosciuti da portare poi in seduta per trovare loro la “giusta” collocazione.

Di seguito alcuni suggerimenti per creare il vostro diario visivo:
  1.  Scegliete un blocco da schizzi di media grandezza in modo da poter essere liberi di usare diversi materiali compreso il collage.
  2. Prendete una cartellina in cui riporre i lavori .
  3. Ogni volta che vi accingete ad introdurvi un’immagine  chiedetevi: ”come mi sento oggi?” e lavorate ascoltando quello che il corpo , la mente e il cuore vi rimandano. 
  4. Cercate di tracciare semplici forme o colori, o anche solo ritagliare immagini da una rivista, per rappresentare il “come mi sento” del momento. Nessuno giudicherà quello che avete fatto, siate assolutamente liberi di depositare sul foglio tutto quello che emerge. 
  5. Se non vi sentite di disegnare, potete usare il collage, scegliendo colori superfici e immagini che rispecchino le vostre emozioni nel “qui e ora” o anche soltanto immagini e fotografie che vi attirano. 
  6. Una volta terminato, annotate la data e un breve titolo. Aggiungete poi un commento sul retro del disegno. 
  7. Se lo fate per qualche settimana, disponete in fila le immagini in ordine cronologico e riguardatele, cercando somiglianze di forma, colore o contenuto. Osservate se le figure si sono evolute nel tempo… se ci sono emozioni ricorrenti .. in che modo le rappresentate. 
  8. Provate poi a scrivere che cosa vi raccontano i vostri lavori…. Lo potete fare sotto forma di fiaba…. racconto … poesia ….

E ricordate solo voi avete la chiave per accedere al vostro mondo interiore e ri-trovare quello che siete sempre stati!!!!

mercoledì 9 novembre 2011

L'Arte-Terapia come spazio del possibile





Giovanna Lentini - Red Gallery -




Sono almeno tre le caratteristiche che ci rivelano come il processo e lo sforzo creativo nella produzione artistica possano avere una funzione “terapeutica”:
  •  La creazione di uno spazio di comunicazione flessibile con il proprio ambiente
  • La capacità di saper distinguere tra mondo interno e mondo esterno, cioè tra fantasie, desideri, bisogni e realtà
  • La capacità di regolare e trasformare le proprie emozioni.
Tutti e tre questi fattori sono strettamente interconnessi e riproducono le trasformazioni che caratterizzano la crescita cognitiva ed emotiva di ogni persona, lo sviluppo, quindi dei processi di pensiero, la possibilità di vedere gli oggetti del mondo reale e di elaborarne una rappresentazione mentale.

Nelle arti-terapie la presenza di oggetti e il ruolo che questi assumono nel processo appaiono di notevole importanza per comprendere la tecnica in quanto tale, lo spazio di comunicazione che si viene a creare tra artcounselor (o arte terapeuta) e cliente e i processi di regolazione emozionale.

Quando si parla di “oggetti” ci si può riferire tanto a “oggetti pulsionali” ossia al legame che si crea con l’agevolatore, per cui quest’ultimo diventa la “base sicura” mancata e mancante, tanto a quegli oggetti concreti, come un disegno, suoni, prodotti artistici. Questi ultimi oggetti  sono più vicini a quello che la nostra attività percettiva individua come appartenenti al mondo esterno e dotati di specifiche forme e caratteristiche strutturali che diventano però, nell’ambito della creazione artistica, simbolo di un “interno” che è impossibile fare emergere in altro modo.

Simbolo, nel significato etimologico di “mettere insieme” il fantasmatico, che corrisponde alla creazione di un secondo universo esistente solo nella mente di chi lo attua; il cognitivo, per cui l’emergere del simbolo equivale al legare mentalmente determinati eventi del mondo esterno e a fornire così una prima chiave per una comprensione olistica del mondo esterno e l’affettività, che permette all’emergere del simbolo l’elaborazione del dolore della separazione e il controllo delle emozioni.

Nello sviluppo della trasformazione simbolica dei contenuti del mondo esterno secondo la triplice valenza fantasmatica, cognitiva e affettiva si possono individuare i confini dello spazio della creatività individuale. Spazio che diventa “area transizionale” , ciò che è a metà strada tra soggetto e oggetto. Nella misura in cui creano e sostengono il legame affettivo, gli “oggetti transizionali” svolgono un ruolo positivo e offrono una dimensione creativa che permette di superare l’angoscia di separazione e di ritrovare ad un altro livello l’oggetto amato assente.

Lo spazio di creatività suggerito da Winnicott è pertanto uno spazio che si fonda su un uso attivo dell’illusione che spinge l’individuo a vivere, a modulare e regolare le proprie emozioni utilizzando anche strumenti od oggetti che possono appartenere all’esperienza artistica.

Setting arte terapeutico quindi come uno spazio del possibile in cui nulla è sicuro se non la possibilità stessa di far sì che molteplici eventi trovino un adeguato contenitore.

Il processo creativo si esplica, quindi, in un vivere pieno di significati, in un adattamento alla realtà attivo. Non è l’arte che trasforma la realtà o che cambia il mondo, ma può trasformare il linguaggio umano e l’uomo in quanto tale. E’ chiaro, in tal senso, che è l’individuo in quanto “trasformato” dall’arte che può poi tentare di trasformare la realtà con la sua vita e con la sua capacità di vivere in maniera attiva a adeguata le proprie emozioni. Il processo creativo non significa semplicemente originalità e libertà, ma implica uno sforzo a trovare nuove oggetti allargando l’ambito dell’esperienza umana.

Attraverso la regolazione delle emozioni è possibile trovare nuove forme espressive che portano alla realizzazione di opere che stimolano la ricerca di significati che prima era impossibile cogliere.


“ … tutte le arti che pratichiamo
sono un apprendistato di un’arte
più grande: la nostra vita”
M.C.Richards