domenica 27 novembre 2011

Un Collage per "guarire" ....



Gabriella Costa - "il senso di un viaggio" 

Dopo un lutto, una separazione o quando si devono affrontare scelte difficili: sono tante le situazioni nelle quali si sente il bisogno di “rimettere insieme i pezzi” della propria vita o di “ricomporre i cocci” dopo esperienze laceranti. Per farlo, c’è una tecnica che, proprio perché rappresenta una metafora di questo percorso, può aiutare a fare il “patchwork” giusto di interessi, emozioni, valori. Questa tecnica si definisce Psico-collage ed impararla è davvero facile. Ecco come fare.

Una tecnica dell’arteterapia
Matite o tempere, creta e collage: tutte le varie tecniche artistiche possono costituire degli efficaci strumenti terapeutici e di crescita personale. L'arteterapia, infatti, può essere definita un intervento di aiuto che utilizza i materiali artistici e il processo creativo come sostituzione o integrazione della comunicazione verbale essa si fonda sul concetto che il “fare” (in questo caso fare-arte) produce ben-essere, aumenta l’autostima facendo sentire la persona come un individuo in grado di “fare” migliorando così la qualità della vita. Inoltre attraverso l’arteterapia si ha la possibilità di attivare quelle risorse che tutti possediamo ma che spesso dimentichiamo di avere attuando attraverso il processo creativo la capacità di dare una forma al proprio vissuto trasmettendolo creativamente agli altri.  L’arte possiede il grande pregio di esprimere e rendere visibile quello che è difficile comunicare a parole, essa diventa così un mezzo di comprensione e attribuzione di senso dei propri vissuti. Infatti mentre le parole implicando la concettualizzazione del disagio possono mentire, nascondere o dimenticare ; le immagini non mentono, sono immediate prendono forma dal profondo di noi stessi by-passando tutte le difese.

Come si pratica.
Perché l’arteterapia sia davvero efficace, però, questa non deve essere improvvisata, ma, almeno all’inizio, è necessaria la guida di un esperto. Nel suo studio, l'arteterapista prepara i materiali e l'ambiente in modo da creare un clima di rilassamento e tranquillità per un paziente o anche per un gruppo che parteciperà alla seduta.

Lo scopo.
Attraverso l’espressione artistica, la persona esprime contenuti personali che possono essere ricordi, sensazioni, emozioni ed attua un riconoscimento di sé e della propria presenza in grado di lasciare una traccia. Inoltre, nel momento in cui le sensazioni si traducono nell'oggetto artistico, avviene un processo di autocomprensione più profonda. Questo accade perché il riuscire a raffigurare immagini, sentimenti ed emozioni, dando ad essi una forma visiva concreta, permette di poterli osservare come qualcosa di staccato da sé, mettendo in atto quella “distanza emotiva” necessaria alla loro esplorazione.  Ecco allora che anche nelle immagini più cariche di sofferenza e di angoscia (ad esempio il ritratto di una persona cara che non c’è più) si crea uno spazio di comprensione ed elaborazione.

 Cos’è lo “psico-collage”
Lo psico-collage, quindi, non è altro che una forma di arteterapia che si avvale dell’uso di questa tecnica artistica. Ecco in cosa consiste.

Cos’è il collage.
Come tecnica artistica, il collage appare per la prima volta agli inizi del ventesimo secolo, con gli artisti del novecento. La parola "collage" viene dal francese e significa letteralmente "incollare", così oggi si definisce con questo termine, qualsiasi manufatto realizzato incollando sulla superficie uno strato, ovvero un’opera ottenuta attaccando insieme elementi, anche diversi, come carta di giornale, carta da parati, illustrazioni, stoffa su una superficie piatta. Per quanto riguarda il suo uso in arteterapia, questa tecnica è una delle più semplici, proprio perché si avvale del solo uso di carta, forbici e colla e non prevede una particolare predisposizione alla manualità. Non a caso è uno dei primi procedimenti artistici che vengono insegnati ai bambini nelle scuole.

La versione “psicologica”.
Il collage psicologico è caratterizzato dal fatto che, pur restando invariata la tecnica, sono i “ritagli” o inserti scelti ed il loro modo di combinarli ad avere un valore speciale, proprio perché si tratta di “immagini” che ci riguardano da vicino, che in qualche modo parlano di noi. Il foglio bianco diventa lo schermo su cui proiettare i nostri fantasmi, le nostre paure, i nostri ricordi, una sorta di filo d’Arianna che ci conduce attraverso il labirinto del nostro inconscio fino al centro di noi stessi. Esso ci permette di mettere in scena la nostra fiaba interiore accedendo al nostro immaginario lasciando tuttavia intatte le nostre difese. Infatti in arteterapia il Collage è una grossa maschera che rispetta molto le difese di chi lo fa : attraverso una immagine ci si può nascondere e permettere che essa parli in nostra vece.
In più è un ottimo mezzo per abbassare il critico interiore, colui che mina continuamente la fiducia in noi stessi non necessitando di alcuna particolare competenza artistica.
Inoltre dal punto di vista strettamente psicologico attraverso le varie fasi: la scelta dell’immagine, la de-struttrazione (taglio o strappo della figura) e la ri-configurazione dello scenario (che fino all’incollaggio può essere riposizionato all’infinito), permette di sperimentare , ri-creare e ri-organizzare nuove e diverse ambientazioni come possibili metafore di situazione di vita.

Come fare un collage "psicologico".

Anche la tecnica del psico-collage dovrebbe essere appresa da un primo incontro con un terapeuta che possa aiutare ad esplorare il risultato finale, ma, una volta apprese le chiavi di lettura dei propri lavori, questa tecnica si può applicare anche a casa. Ecco come.

Creare l’ambiente giusto.
Bisogna prepararsi al momento di psicocollage con cura, scegliendo un’ora della giornata o della settimana in cui ci si senta liberi e non si vada di fretta. E’ importante anche scegliere un angolo della casa consono, di solito riservato, luminoso e dove poter raccogliere anche una buona mole di materiale (riviste, cataloghi, poster…).

Scegliere i ritagli.
E’ questa la fase più importante: cercare di capire quali immagini descrivono meglio lo stato d’animo che vorremmo rappresentare, sia esso di gioia, tristezza, inquietudine oppure, e questa è la cosa che di solito invito i miei clienti a fare,  farsi catturare dall’immagine senza riflettere molto cercando così di far lavorare la parte destra del cervello quella più legata all’inconscio .  Questa ricerca si può fare utilizzando riviste o cataloghi ma anche la rete può aiutare. Allora, se riusciamo a dare un nome alle immagini che “desideriamo”, possiamo tranquillamente cercare su internet, scegliendo e stampando quelle che, d’istinto, rappresentano bene sentimenti e sensazioni del momento che vorremmo esprimere. In altre situazioni, quando cioè, si vivono stati di malinconia, rimpianto o si fa fatica ad elaborare una perdita, possono essere utili materiali personali come foto, vecchi biglietti, pagine di diario.

Fare il collage.
Una volta raccolto tutto il materiale, si può passare alla fase di assemblaggio vera e propria. E’ sufficiente scegliere un supporto ed iniziare a sistemare le varie immagini prendendosi tempo per cambiare o spostare i vari accostamenti solo quando si è soddisfatti e si sente di aver finito l’opera si può incollare  ed in seguito è molto importante dare un nome al proprio lavoro in modo da riportare a livello di coscienza quello che si è fatto di istinto ad incollare, creando gli accostamenti in base all’istinto e senza pensare al fatto di dover ottenere un’opera artistica.

Guardare se stessi attraverso il collage.
Una volta terminato il lavoro, si può passare alla terza fase, la più delicata che consiste nell’esplorazione del risultato ottenuto; soffermandosi sulle risonanze che le varie immagini evocano in noi (cosa mi dice quella foto? Cosa mi ricorda?) oppure sugli accostamenti tra i vari elementi immaginando, magari, un ipotetico dialogo tra di loro In sintesi: in questa fase è giusto guardare l’opera come un film o un fotoromanzo: con la massima sincerità possibile e cercando di dare attraverso il collage un senso allo stato d’animo di partenza cercando di dare un nome all’emozione che sale in figura dallo sfondo .

Ripetere il procedimento.
L’obiettivo dello "psico-collage" è quello di fare chiarezza dentro di sè, portando fuori emozioni e sentimenti e permettendo così, di vivere questi stati d’animo come spettatori e non come attori. Questo è fondamentale per l’elaborazione degli stessi. Però, per andare davvero in profondità dentro se stessi, non ci si può fermare ad un solo esercizio. Quindi, è importante che lo psicocollage diventi un’abitudine, un appuntamento con se stessi e con la propria interiorità.
Il Collage è una tecnica assolutamente adatta a tutti : 
  • per gli anziani può essere un modo per legare con un immaginario filo i ricordi sollecitati da immagini  oppure da vecchie fotografie 
  • per i disabili è una maniera  per innalzare la loro autostima creando qualcosa di artisticamente valido 
  • per i bambini il tagliare e incollare è uno dei primi  “giochi” che li fa sentire artisti in erba 
  • per gli adulti con la sindrome del “non so fare nulla” è un approccio che cambia completamente la loro prospettiva del “saper fare”
Per concludere possiamo dire che gli scopi principali di uno “psico-collage” sono:
  •    Favorire la comunicazione delle proprie emozioni 
  •          Promuovere l’autoconsapevolezza e l’accettazione di sé 
  •          Sviluppare la propria identità creativa ed immaginativa 
  •          Innalzare l’autostima tramite l'atto creativo

(Servizio di Manuela Longo con la consulenza tecnica di Gabriella Costa apparso su SANI E BELLI nr. 43)  

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giovedì 24 novembre 2011

Il permesso di essere creativi



Sabry-Art  -  "Albero della vita" - murales

Il verbo italiano creare, al quale il sostantivo creatività rimanda, deriva dal creare latino, che condivide con "crescere" la radice KAR. In sanscrito, KAR-TR è colui che fa (dal niente), il creatore.

Creare significa propriamente produrre qualcosa  che appaia ai più come nuova ed originale. Possiamo anche dire che la creatività è un particolare processo attivato dall’uomo nel suo relazionarsi con il mondo esterno allo scopo di dare ad esso un significato personale che si rifà alla sua realtà interiore. Sono i nostri desideri e i nostri bisogni che ci spingono ad agire creativamente. Se non avessimo desideri, sogni e sentimenti non ci sarebbe la tensione emozionale e cognitiva necessaria per dare il via ad un processo creativo capace, potenzialmente, di modificare la realtà con i suoi effetti.

D’altra parte è la realtà che ci fornisce i mezzi e gli strumenti necessari all’azione creativa: nulla si crea dal nulla ed ogni atto creativo, così come ogni nuova idea scaturisce dall’esistente. La creatività non è un atto magico che dal nulla fa nascere qualcosa, ma è una sorta di ricombinazione delle strutture e delle informazioni che abbiamo a disposizione per dar voce ad un bisogno consapevole od inconsapevole, primario o meno che cerca soddisfazione nella realtà.

La creatività nella sua forma più profonda è una celebrazione della vita, della nostra vita, un’autoaffermazione energica del nostro essere al mondo : SONO QUI! POSSO ESSERE QUALSIASI COSA! POSSO FARE QUALSIASI COSA!
In questo senso diventa quindi anche un atto di coraggio: è la rottura dei confini per crearne di nuovi ascoltando quel bisogno che dentro urge di essere affermato, rischiando anche il fallimento o il ridicolo in nome del cambiamento.

Infatti il “sine qua non” del processo creativo è il cambiamento, la trasformazione di una forma in un ‘altra, di un simbolo in una intuizione che attraverso metamorfosi diventa “qualcosa d’altro”.

La creatività è l’affermazione della vita che si muove oltre se stesa. Una vita scarsamente esposta al mondo e alle possibili esperienze ha poche probabilità di essere creativa. “La creatività è impaziente di fronte al ristagno dell’esperienza; non può fiorire in un ammasso di polvere” (J. Zinker).

L’atto della creazione è un bisogno fondamentale, come respirare , è il bisogno di lasciare una traccia ; dobbiamo correre il rischio e darci il permesso di proiettare le immagini più personali sugli oggetti, sulle parole o su altri simboli tras-formandoli in qualcosa di nuovo. Ogni uomo è pieno di proiezioni e nello stesso tempo ha paura di esprimerle del tutto. Comporre musica, fare un quadro, una scultura o semplicemente creare un cambiamento nella propria vita è come correre il pericolo di lasciare andare il proprio cuore, la propria anima nel mondo avendo paura che nessuno voglia fruirne.

Rimanere eterni incompresi blocca l’azione, ci fa restare in balia degli eventi non più “creatori” della propria vita bensì burattini in mano al “destino” indiscusso regista della nostra esistenza.

Come dice Maslow “la creatività autorealizzante viene emessa come radioattività e irradia tutta la vita... è come la luce del sole; si diffonde dappertutto ...” e alla luce non ci si può opporre.....


"Alla fine tutti siamo portati a scegliere tra la dipendenza e la creatività"Linda Leonard Schierse


venerdì 18 novembre 2011

Diario Visivo delle emozioni ...


www.flickr.com  io-corallo "Obliterazioni"


Il Diario clinico è uno strumento molto usato sia in campo terapeutico sia nel counseling; esso è un registro giornaliero su cui far annotare cronologicamente al cliente tutto ciò che lo riguarda sia come avvenimenti, sia soprattutto le confessioni, i sentimenti e le emozioni più profonde.
Da questo punto di vista il diario presenta dei notevoli vantaggi autoriparativi: lo scrivere, infatti, ha la capacità di favorire l’esplorazione di sé permettendo con gradualità di entrare nel mondo delle proprie emozioni in modo da dare un nome a quello che si prova consapevolizzandolo.
Inoltre esso può essere un posto sicuro, nascosto agli altri, in cui dar voce a tutte le sofferenze e i dispiaceri senza paura di essere giudicati, un momento dove ci si può auto consolare e auto sostenere.
Chi scrive il diario cerca di familiarizzare con i moti contraddittori del suo essere collocandosi su un piano altro da cui scoprire che la contraddizione non lo spacca più in due ma è parte di sé. Impara così che il lato attivo ed il lato passivo, il lato oggettuale e quello soggettivo, il lato bisognoso e quello potente gli appartengono.
Come ho già scritto in precedenti post qui e qui  l’arteterapia e il counseling espressivo puntano sulla comunicazione delle emozioni e dei sentimenti in forma visiva.
In una seduta tipica si chiede al cliente di esprimere attraverso un prodotto artistico ciò che prova nei confronti di sé e degli altri. Le emozioni sono una fonte importante di immagini e rappresentano un punto di partenza significativo per l’esplorazione di sé.
Usare l’arte è un modo per by-passare le resistenze che la nostra mente innalza per paura di toccare punti dolenti; a volte può bastare l’atto stesso di prendere la matita e tracciare linee sulla carta per cominciare a rilassarsi lasciando che emozioni e sentimenti affiorino in superficie per poi inquadrarli in un contesto.
Da qui l’invito che spesso rivolgo ai miei clienti di tenere un diario in cui la parola scritta viene sostituita da una narrazione visiva. Disegni, schizzi, scarabocchi, collage per individuare sentimenti nascosti o non riconosciuti da portare poi in seduta per trovare loro la “giusta” collocazione.

Di seguito alcuni suggerimenti per creare il vostro diario visivo:
  1.  Scegliete un blocco da schizzi di media grandezza in modo da poter essere liberi di usare diversi materiali compreso il collage.
  2. Prendete una cartellina in cui riporre i lavori .
  3. Ogni volta che vi accingete ad introdurvi un’immagine  chiedetevi: ”come mi sento oggi?” e lavorate ascoltando quello che il corpo , la mente e il cuore vi rimandano. 
  4. Cercate di tracciare semplici forme o colori, o anche solo ritagliare immagini da una rivista, per rappresentare il “come mi sento” del momento. Nessuno giudicherà quello che avete fatto, siate assolutamente liberi di depositare sul foglio tutto quello che emerge. 
  5. Se non vi sentite di disegnare, potete usare il collage, scegliendo colori superfici e immagini che rispecchino le vostre emozioni nel “qui e ora” o anche soltanto immagini e fotografie che vi attirano. 
  6. Una volta terminato, annotate la data e un breve titolo. Aggiungete poi un commento sul retro del disegno. 
  7. Se lo fate per qualche settimana, disponete in fila le immagini in ordine cronologico e riguardatele, cercando somiglianze di forma, colore o contenuto. Osservate se le figure si sono evolute nel tempo… se ci sono emozioni ricorrenti .. in che modo le rappresentate. 
  8. Provate poi a scrivere che cosa vi raccontano i vostri lavori…. Lo potete fare sotto forma di fiaba…. racconto … poesia ….

E ricordate solo voi avete la chiave per accedere al vostro mondo interiore e ri-trovare quello che siete sempre stati!!!!

mercoledì 9 novembre 2011

L'Arte-Terapia come spazio del possibile





Giovanna Lentini - Red Gallery -




Sono almeno tre le caratteristiche che ci rivelano come il processo e lo sforzo creativo nella produzione artistica possano avere una funzione “terapeutica”:
  •  La creazione di uno spazio di comunicazione flessibile con il proprio ambiente
  • La capacità di saper distinguere tra mondo interno e mondo esterno, cioè tra fantasie, desideri, bisogni e realtà
  • La capacità di regolare e trasformare le proprie emozioni.
Tutti e tre questi fattori sono strettamente interconnessi e riproducono le trasformazioni che caratterizzano la crescita cognitiva ed emotiva di ogni persona, lo sviluppo, quindi dei processi di pensiero, la possibilità di vedere gli oggetti del mondo reale e di elaborarne una rappresentazione mentale.

Nelle arti-terapie la presenza di oggetti e il ruolo che questi assumono nel processo appaiono di notevole importanza per comprendere la tecnica in quanto tale, lo spazio di comunicazione che si viene a creare tra artcounselor (o arte terapeuta) e cliente e i processi di regolazione emozionale.

Quando si parla di “oggetti” ci si può riferire tanto a “oggetti pulsionali” ossia al legame che si crea con l’agevolatore, per cui quest’ultimo diventa la “base sicura” mancata e mancante, tanto a quegli oggetti concreti, come un disegno, suoni, prodotti artistici. Questi ultimi oggetti  sono più vicini a quello che la nostra attività percettiva individua come appartenenti al mondo esterno e dotati di specifiche forme e caratteristiche strutturali che diventano però, nell’ambito della creazione artistica, simbolo di un “interno” che è impossibile fare emergere in altro modo.

Simbolo, nel significato etimologico di “mettere insieme” il fantasmatico, che corrisponde alla creazione di un secondo universo esistente solo nella mente di chi lo attua; il cognitivo, per cui l’emergere del simbolo equivale al legare mentalmente determinati eventi del mondo esterno e a fornire così una prima chiave per una comprensione olistica del mondo esterno e l’affettività, che permette all’emergere del simbolo l’elaborazione del dolore della separazione e il controllo delle emozioni.

Nello sviluppo della trasformazione simbolica dei contenuti del mondo esterno secondo la triplice valenza fantasmatica, cognitiva e affettiva si possono individuare i confini dello spazio della creatività individuale. Spazio che diventa “area transizionale” , ciò che è a metà strada tra soggetto e oggetto. Nella misura in cui creano e sostengono il legame affettivo, gli “oggetti transizionali” svolgono un ruolo positivo e offrono una dimensione creativa che permette di superare l’angoscia di separazione e di ritrovare ad un altro livello l’oggetto amato assente.

Lo spazio di creatività suggerito da Winnicott è pertanto uno spazio che si fonda su un uso attivo dell’illusione che spinge l’individuo a vivere, a modulare e regolare le proprie emozioni utilizzando anche strumenti od oggetti che possono appartenere all’esperienza artistica.

Setting arte terapeutico quindi come uno spazio del possibile in cui nulla è sicuro se non la possibilità stessa di far sì che molteplici eventi trovino un adeguato contenitore.

Il processo creativo si esplica, quindi, in un vivere pieno di significati, in un adattamento alla realtà attivo. Non è l’arte che trasforma la realtà o che cambia il mondo, ma può trasformare il linguaggio umano e l’uomo in quanto tale. E’ chiaro, in tal senso, che è l’individuo in quanto “trasformato” dall’arte che può poi tentare di trasformare la realtà con la sua vita e con la sua capacità di vivere in maniera attiva a adeguata le proprie emozioni. Il processo creativo non significa semplicemente originalità e libertà, ma implica uno sforzo a trovare nuove oggetti allargando l’ambito dell’esperienza umana.

Attraverso la regolazione delle emozioni è possibile trovare nuove forme espressive che portano alla realizzazione di opere che stimolano la ricerca di significati che prima era impossibile cogliere.


“ … tutte le arti che pratichiamo
sono un apprendistato di un’arte
più grande: la nostra vita”
M.C.Richards





giovedì 3 novembre 2011

Materiali d'arte, elementi di vita ...




In latino il termine “materia” rimanda a “mater” cioè alle origini, a quello o al luogo da cui si deriva. Il termine “materiali” allora, proprio perché derivante da materia, è maggiormente legato ad un oggetto o ad un’opera e ne indica la materialità fisica, la struttura e anche il “significante” che veicola significati.

I materiali, infatti, non sono presenze prive di significato: essi hanno un’importanza fondamentale nella realizzazione di un’opera ed in quello che esprime. I materiali non sono elementi neutri, muti, fanno parte dell’oggetto ed entrano in un rapporto empatico con ciascuno di noi: quante volte , ad esempio, ci succede di cambiare sedia perché quella di plastica non ci piace.
Cambiando i materiali cambiano i sistemi percettivi ed emotivi e si attua una diversa comunicazione ed un diverso scambio simbolico.

“Nella materia sono i grandi germi della vita e i germi delle opere d’arte”, scrive Bachelard (http://it.wikipedia.org/wiki/Gaston_Bachelard ), e ciò è vero nella misura in cui ciascuno di noi porta dentro di sé un sentire cosmico, un universo fatto prioritariamente di materia, il corpo, e di elementi, quelli della natura, che rimandano ad un immaginario in perenne trasformazione, così come lo è la vita di ogni singola persona.

L’integrazione dell’Io nel tempo e nello spazio (noi siamo spazio, lo spazio del corpo e tempo, i ritmi e i bisogni del corpo), dipende dal modo in cui la madre “tiene” il neonato; la personalizzazione dell’Io dipende dal modo in cui il bambino viene “manipolato” e l’instaurazione della relazione d’oggetto da parte dell’Io dipende dalla presentazione degli oggetti (seno, biberon ..) grazie ai quali il bambino può trovare la soddisfazione ai suoi bisogni che sono prioritariamente fisici.

L’Io quindi è basato su un Io corporeo e, quando tutto va bene, cioè quando vi è un ambiente sufficientemente buono, il bambino comincia a legarsi al corpo ed alle funzioni corporee e la pelle ne diviene la membrana limitante.
Anzieu (http://it.wikipedia.org/wiki/Didier_Anzieu ), nel suo libro l’Io pelle, sottolinea al’importanza che per il bambino ha la superficie dell’insieme del proprio corpo e di quello della madre, superficie che diventa oggetto di esperienze molto importanti per le qualità emozionali, per la stimolazione della fiducia, del piacere e del pensiero.

Non solo la pelle assume una funzione fondamentale costitutiva dell’Io, ma tutti i sensi partecipano a questa incredibile realizzazione dell’opera “persona”, creazione che, proprio a partire dalla sua fisicità, può assumere un posto nel mondo ed interagire con esso e con se stessa.

Il corpo rappresenta quindi il nostro primo materiale, quello con cui ciascun individuo crea, trasforma, realizza se stesso: esso è il medium con cui costruiamo e modifichiamo il mondo e da esso siamo costruiti.

Non solo attraverso i sensi noi entriamo in contatto con il mondo ed al contempo espandiamo l’area, la superficie, lo spazio d’azione del nostro corpo, di noi: ci impossessiamo di quello che ci circonda.

Noi possediamo e siamo posseduti attraverso i sensi, attraverso di essi il mondo entra dentro di noi, ci pervade a volte contro il nostro volere, evocando sensazioni e vissuti: è il mondo dei colori, delle forme, degli odori, dei suoni, dei sapori, del duro e del morbido, del liscio e del ruvido, del freddo e del caldo. E l’esperienza prima di ogni essere umano, quando ancora era il mondo, quella che viene evocata dai sensi attraverso l’esperienza con gli elementi della natura ed i materiali d’arte.

L’esperienza sensoriale rappresenta quindi il punto di partenza di ogni relazione con l’altro da sé e con l’ambiente che circonda ogni persona, della sua storia, quindi, e dei suoi vissuti. Ed è proprio attraverso un’esperienza sensoriale che ogni soggetto può tornare ai propri vissuti ed elaborarli.

Proprio questo rappresenta l’esperienza con gli elementi della natura ed i materiali d’arte: la possibilità di ritorno ad un livello affettivo e di trasformazione di quello che è avvenuto in funzione di un cambiamento di sé, anche nel mondo reale.

La complicità dell’uomo con i materiali risale ai primi ciottoli, alle pietre, alle conchiglie, agli ossi, ai corni a quello che trovava in natura da utilizzare o a cui attribuiva significato in base alla forma; poi sono arrivati i primi interventi sulle forme, le prime trasformazioni funzionali, l’incontro ed il confronto con gli elementi ed i materiali, la creazione e la distruzione che sempre accompagna l’atto creativo.

E’ la storia dell’uomo creatore che fa propri utilizzandoli, gli elementi e i materiali che da essi derivano o a cui rimandano a livello simbolico: ogni persona, nel suo percorso evolutivo, si trova a ripercorrere questo cammino, attraverso le sensazioni ed i sogni che sempre rimandano agli elementi fondamentali, in quanto archetipi dell’immaginazione.

Lavorare quindi con i materiali rappresenta quindi una possibilità ulteriore di dialogo e scambio tra mondo interiore ed esteriore nonché la possibilità di testimoniare a sé e al mondo quello che è avvenuto andando a creare una narrazione materica della propria storia. 

Attraverso l’opera creata si compongono, così, i frammenti della realtà percepita, i ricordi di quella vissuta con la possibilità di intervenire su di essi per elaborarli.

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Liberamente tratto da:
M.G.Cocconi, L.Salzillo, A.Zanolli
Il bambino Creatore
Ed. FrancoAngeli