lunedì 13 giugno 2011

Arteterapia: gli esordi


L’arte può essere definita

- e utilizzata – come la mappa

esteriorizzata del nostro sé

interiore ..” Peter London

Il XX secolo ha portato con sé l’avvento della psicoanalisi, l’interesse degli artisti per il simbolismo e la spontaneità, l’interesse degli psichiatri per l’arte dei malati di mente.

Come la maggior parte delle terapie nate nello stesso periodo, anche l’arteterapia ha preso le mosse dal movimento psicoanalitico e dalle idee sul contenuto simbolico delle immagini che si potevano ricavare dai sogni. Verso la metà del secolo si diffondeva la convinzione che il processo creativo dell’arte potesse favorire la riabilitazione, il cambiamento e la crescita personale. Sia l’interesse crescente per le immagini come rappresentazioni dell’inconscio, sia il potenziale terapeutico del processo creativo contribuirono ad aprire le porte all’avvento dell’arteterapia.

Ci sono stati anche altri eventi importanti che hanno preparato il terreno. Lo sviluppo di nuove terapie aumentò notevolmente dopo il 1950, creando un ambiente favorevole alla comparsa e all’accettazione di novità. Alcune di quelle metodologie si ricollegavano ad esperienze del 1800, quando era cominciata, in Europa e negli Stati Uniti, la sperimentazione di trattamenti più umani dei casi psichiatrici, la cosiddetta “terapia morale”: i pazienti erano inviati in campagna, dove ricevevano un’attenzione individualizzata sotto forma di terapia occupazionale e attività artistiche. Il movimento tuttavia durò pochi anni, riemerse però nel secolo successivo con la creazione di ambienti terapeutici: ospedali psichiatrici, cliniche e centri di riabilitazione introdussero nel trattamento, accanto alle psicoterapie basate sul colloquio, attività artistiche, musicali, motorie e di scrittura creativa. Le arti erano usate in collaborazione con i trattamenti tradizionali, per aiutare i pazienti ad elaborare, individuare e comprendere sentimenti, pensieri, percezioni ed esperienze.

L’arteterapia ottenne ampio credito nei servizi di salute mentale in ogni parte degli Stati Uniti, coinvolgendo psichiatri, psicologi, educatori e artisti. Ai suoi esordi intervennero molte persone che avevano scoperto il potere curativo dell’arte, ma a due in particolare va il merito di aver introdotto l’arteterapia negli Stati Uniti.

La primogenitura nell’uso dell’arte come modalità terapeutica negli anni 40’ è attribuita a MARGARET NAUMBURG, psicoanalista e seguace di Freud. Essa considerava l’espressione artistica un modo di manifestare le fantasie inconsce, in linea con la prospettiva psicoanalitica dominante nella prima metà del secolo. Ai pazienti chiedeva di disegnare, oltre ad enunciarli a parole, i contenuti dei sogni e delle associazioni. A suo giudizio, il valore terapeutico primario dell’arte consisteva nella comunicazione e nell’espressione autentica: riteneva che le immagini prodotte dalle persone fossero una forma di linguaggio simbolico.

Negli anni ’50 la terapeuta EDITH KRAMER si mosse da un’ ottica completamente diversa proponendo l’idea che il potenziale creativo dell’arte scaturisse dalla sua capacità di attivare certi processi psicologici. Per lei la chiave del processo di arte terapia era soprattutto l’atto creativo in sé e per sé. Riteneva infatti che creare un prodotto artistico implica incanalare, ridurre e trasformare le esperienze interiori e può essere un atto di sublimazione, interezza e sintesi. Benché non possa risolvere direttamente il conflitto, l’espressione artistica può mettere a disposizione uno spazio in cui manifestare e sperimentare atteggiamenti e sentimenti nuovi.

È dunque dalla Kramer in poi, a mio avviso, che si può parlare di arteterapia vera è propria, e cioè, come si è già detto, con lo spostamento dell’attenzione dal prodotto artistico come materiale da interpretare, al processo creativo vero e proprio, che, avvalendosi di simboli e metafore, coinvolgendo il soggetto in attività che implicano un impegno sensoriale e cinestesico, si propone come un mezzo per identificare ed esprimere le proprie emozioni, e per comprendere e risolvere certe difficoltà.

Altre figure hanno esercitato un’influenza importante negli sviluppi iniziali dell’arteterapia: Hanna Yaxa Kwiatkowska, che negli anni ’50 e ’60 introdusse l’arteterapia nelle sedute di terapia familiare. Riteneva che certe specifiche attività di disegno servissero a individuare il ruolo e lo status dei vari membri della famiglia e si prestassero all’esperienza terapeutica del lavorare in comune.

Più tardi negli anni ’60 e ’70, Janie Rhyne ha usato l’espressione artistica per aiutare i clienti a raggiungere l’autoconsapevolezza e la realizzazione di sé, cioè a sviluppare il proprio potenziale e trovare soddisfazione nella vita. Il suo metodo puntava sulla lettura personale che la persona dava delle sue espressioni artistiche, in linea con l’impostazione non direttiva centrata sul cliente (vedi Rogers) tipica di quegli anni.

Grazie alle loro iniziative, negli anni ’60 l’arteterapia era ormai un metodo pienamente riconosciuto. Contemporaneamente agli Stati Uniti l’arteterapia era scoperta e sviluppata anche in Europa. L’inglese Adrian Hill aveva sperimentato il valore curativo dell’arte durante un ricovero in sanatorio negli anni ’40. Cominciò così ad elaborare l’idea dell’arte come trattamento delle malattie fisiche ed emotive ed introdusse per primo il termine “arte terapia”. Egli riteneva che l’arte alleviasse la monotonia della vita ospedaliera e offrisse un senso di speranza a chi era colpito da una grave malattia.

Edward Adamson, un altro pioniere inglese, era un artista che lavorava con i pazianti in un ospedale psichiatrico. Nel 1946 aveva messo a disposizione dei ricoverati un ambiente in cui dipingere e “curarsi da soli”, convinto che l’attività artistica fosse un modo unico di contribuire al proprio trattamento. Anziché analizzare le espressioni artistiche dei pazienti, pensava che esse parlassero da sole e testimoniassero le qualità curative del processo creativo. Adamson raccolse circa 60.000 fra dipinti e altri oggetti prodotti da pazienti psichiatrici, che ora costituiscono la “Collezione Adamson”.

Sono numerosi coloro che hanno contribuito all’affermazione dell’arteterapia come campo a sé stante, ma c’è un ospedale che ha esercitato una particolare influenza: la Menninger Clinic di Topeka (Kansas), fondata alla metà degli anni ’20 da Charles Menninger e i suoi due figli. Psichiatri i Menninger erano convinti che l’arte contribuisse alla guarigione delle malattie mentali e incoraggiarono nella loro clinica lo sviluppo di numerose attività.

Negli anni ’30 introdussero l’arteterapia invitando Mary Huntoon a tenere corsi per i pazienti. La Nuntoon, che non era una psicologa ma un’artista, aiutava i pazienti a servirsi dell’arte per elaborare e sfogare traumi e problemi psicologici. Essa coniò il termine “arte-sintesi” per descrivere il processo di auto-scoperta vissuto da molti pazienti del suo laboratorio. Il valore terapeutico dell’arte risiedeva nel produrla, piuttosto che nell’analisi diretta a scoprirne il significato simbolico.

Creando un disegno, un dipinto le persone hanno modo di sperimentare la catarsi e di scoprire il senso personalissimo che l’espressione artistica ha per loro.


" Siamo attivi nel processo, responsabili individualmente di trovare i nostri diversi modi di ri-creazione di noi stessi.. Nessun modo è la via!!! ..." Janie Rhyne

Nessun commento:

Posta un commento