domenica 13 febbraio 2011

Jackson Pollock - Alchemy, 1947 -

Mi disse : “ la luce è pesante. E’ tutta materia grezza. Se ti avvicini al quadro la vedi: più cremosa del fondo plumbeo”.

Allora mi avvicinai e potei notare come il tratto in rilievo producesse oscurità ulteriori e la superficie non avesse altro che assorbenza. Niente colori senza luce. Un piccolo segreto alchemico, perché il pittore non fa altro che riunire elementi e farli combattere con la luce.

Mi disse: “non uso colori. Non ci sono colori, ci sono segrete attinenze. Perché l’atmosfera si innamora delle superfici e partorisce il colore. Ed esplode come un’idea della vita. Ma se ti avvicini l’insieme è perduto. La copula dell’aria con la tempera, l’attaccamento del colore alla tela e la docilità del pittore che fa solo gesti. Così il piombo diventa oro”.

Mi disse: “la pittura è solo chimica, come lavarsi le mani o masticare. Come la schiuma che si attacca amorosamente alle particelle di sporco e le porta via con sé. Come il cibo dentro la macina che è trasformato in vita dal gesto delle mandibole, dal secreto febbrile delle ghiandole salivari. E piomba giù verso laboratori più complessi, sempre più semplificato”.

Mi disse:” Niente di ciò che sembra casuale è inefficace. Muovo la mano con gesti di apparente casualità, lascio che tutta la materia prima si sovrapponga e aspetto che sia la luce a fare il resto. Ma non c’è niente di imponderato in questo e i gesti sono esatti. Perché dalla mano del pittore si dipana la tintura e e scherza con l’occhio del profano. Si, sono colori ammucchiati e non c’è altro. Ma l’aura è ingannevole, produce se stessa. Invade lo sguardo e ritorna all’origine”.

Mi disse: “Che c’entra questo quadro!”.

Allora mi avvicinai alla tela e respirai quei tratti.......


M.Fois - Picta –




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